Regionalismo differenziato. Dal Teatro Argentina ai nostri giorni

A cura di Gaetano Penocchio
02/02/2024
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È stato approvato in Senato il DDL sull’autonomia regionale differenziata in sanità. In campo lo scontro che parte dal diritto alla salute e dall’efficienza nelle cure per prendere atto delle disuguaglianze, della migrazione sanitaria e dell’ingiustizia sociale. Era il 2019 quando l’assemblea congiunta di tutti i consigli nazionali delle professioni sanitarie al teatro Argentina di Roma approvò un manifesto rivolto al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio dei ministri che diceva “no al regionalismo differenziato in sanità”.
Sul punto non serve una preparazione politica per comprendere che questo obiettivo ha tutto l’aspetto di un processo di privatizzazione. Se lo Stato risponde ai bisogni di salute del territorio con la ricchezza che produce, autorizza il territorio a comportarsi con l’autonomia di un ente “privato” e consente al “proprietario delle risorse” di essere “autonomo dal resto del sistema”. Nel settore medico veterinario è improponibile pensare a logiche locali di gestione del controllo ed eradicazione delle malattie o di governo della sicurezza degli alimenti. È invece indispensabile disporre di entità̀ organizzative e attività equivalenti ed uniformi oltre che di un livello organizzato di responsabilità regionale, nodo irrinunciabile di una catena di comando e gestione che parte dal Ministero della salute e arriva alle Aziende sanitarie, passando dalle Regioni e dalla rete degli Istituti zooprofilattici con il coinvolgimento indispensabile della medicina veterinaria privata. Da tempo il personale non è considerato un capitale su cui investire, ma una leva su sulla quale intervenire per contenerne i costi. Gli incarichi professionali e funzionali sono esposti a operazioni di sostituzione (task shifting) tra professioni e un certo “regionalismo creativo” che, talora in concorso con un sistema universitario altrettanto creativo, non esita a immaginare “nuove professioni”. Le professioni ed i ruoli non sono fungibili. In tempi di crisi le certezze vengono meno e quando cambia il contesto muta la percezione di sicurezza dei cittadini. Ed è proprio la crisi che ci convince che senza medici e infermieri gli ospedali si fermano, che senza medici veterinari vengono meno le garanzie di salute, benessere animale e sicurezza alimentare. Restano validi i principi ispiratori del federalismo volti all’applicazione del principio di sussidiarietà, ma a condizione di consentire a tutti l’esercizio dei diritti costituzionali fondamentali, fra tutti il diritto alla salute. Avremo modo e tempo di confrontarci su questi temi; nessuno ci coinvolgerà̀ se non saremo noi a farci sentire come accadde qualche anno fa. Non discuto un regionalismo capace di valorizzare le straordinarie diversità̀, culturali, sociali, economiche e territoriali del nostro Paese, ma sappiamo bene che non è questa la posta in gioco. In gioco ci sono i poteri di controllo politico ed economico di alcuni territori da assicurarsi inevitabilmente in competizione con altri. E allora c’è tanto bisogno di “buona politica”, che in sanità (ed altrove) non possa essere ancella, comprata, usata e dismessa, o che possa trasformarsi in merce tra le merci.
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