94, tanti sono gli anni passati dalla prima volta che le donne e le libere professioni si sono incontrate. Dal lontano 1919, anno in cui furono ammesse le donne alle libere professioni, il numero delle professioniste è sempre cresciuto, non sempre portandosi con sé diritti e opportunità che potessero parificare il lavoro femminile a quello maschile.
Allora mi chiedo: all'incremento della presenza femminile nelle iscrizioni universitarie e nelle lauree verificatosi nel corso del Novecento si è accompagnata un'analoga crescita in attività e professioni caratterizzate da prestigio e gestione del potere? Quando le donne sono entrate nelle professioni liberali, quali sono state le modalità del loro reclutamento e i processi interni alle carriere? Quali sono state le peculiarità femminili nelle specializzazioni professionali, nei livelli di retribuzione, nelle gerarchie interne ai settori di attività?
Sono domande, queste, che ancora non hanno trovato una risposta in uno studio sistematico né a livello nazionale né regionale.
Il fenomeno della presenza femminile nell’ambito delle professioni intellettuali come quella del medico veterinario è relativamente recente. Così come non è poi molto lontana nel tempo la nascita dei movimenti in materia di emancipazione femminile, che per la prima volta nella storia dell’umanità hanno visto le donne protagoniste nella lotta per sconfiggere vecchi pregiudizi, secolari soprusi, profonde ingiustizie.
Tuttavia, vi sono ancora passi da compiere in questa direzione e gli atteggiamenti discriminatori restano latenti, manifestandosi sotto antiche e nuove forme.
Qualsiasi rivendicazione di diritti, siano essi civili, politici o professionali, da parte di un gruppo, di una categoria o anche di un singolo individuo, costituisce la base culturale necessaria sulla quale costruire una comunità moderna e rispettosa di tutti i suoi componenti.
La “rivendicazione” di diritti professionali da parte delle donne è giustificata dal fatto che questi diritti non sono stati ancora pienamente raggiunti, ed è legittimata dal fatto che uomini e donne anelano ai medesimi riconoscimenti, all’uguaglianza o parità sul piano istituzionale. Ma ciò non significa che uomini e donne siano “uguali”.
Uomini e donne sono diversi, così come lo sono le diverse etnie, e come in fondo è unico e irripetibile ogni singolo essere umano. Ma è proprio tale differenza, che sia di genere sessuale, di etnia o cultura, a costituire quel valore aggiunto che, a prescindere dagli apporti specifici, permette l’aumento delle possibilità di confronto, articolazione di dinamiche relazionali, crescita reciproca.
Un arricchimento che non passa necessariamente dall’elaborazione di nuove e originali idee o strategie professionali. Semplicemente esserci, aprendo la porta alle differenze che ognuno custodisce nel proprio bagaglio esperienziale. Vivere in modo diverso la professione del medico veterinario significa anzitutto viverla insieme, donne e uomini.
“Non tutto ciò che conta si può contare, e viceversa” è il gioco di parole con cui Albert Einstein, uno che di conti se ne intendeva, voleva sottolineare una verità un po' paradossale: il valore a volte non si può quantificare.