L'EDITORIALE - LE REGOLE SONO LE RADICI DELLA NOSTRA CONVIVENZA

A cura di Daniela Mulas
01/07/2022
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Per avere il diritto, bisogna avere una regola che lo predisponga, se non altro una regola che vieti la lesione del diritto stesso. Il buon funzionamento della società si basa sulle regole che gli uomini si sono dati per organizzare e far funzionare al meglio la loro vita comune e per garantire i diritti di tutti.

È importante capire che dietro ad una norma vissuta come un’imposizione fastidiosa, si nasconde in realtà la possibilità di stare bene con sé stessi e con gli altri e soprattutto di esercitare senza limiti la propria libertà. Kant sosteneva che la libertà non consistesse nel fare tutto senza regole ma al contrario avere la determinazione di agire nel rispetto delle condizioni morali riconosciute.

È libero chi non distrugge le regole di convivenza che permettono a tutti di vivere e realizzarsi. È libero chi persegue i propri obiettivi e coltiva le proprie passioni senza cedere ai compromessi immorali. È libero chi conosce i propri limiti e valorizza le sue virtù, chi sa che essere liberi è faticoso ma impagabile.

Ma perché alcune regole funzionano e altre no? È questo un tema rilevante per tutti, perché le regole che ci diamo, in fondo, non sono altro che le radici dell’albero della nostra convivenza. Solo se le radici sono sane e robuste, allora le nostre comunità possono prosperare, e noi con loro.

Le regole sono gli elementi costitutivi delle istituzioni e queste ultime sono gli strumenti che utilizziamo per organizzare e coordinare i comportamenti sociali in modo che questi possano concorrere nel modo più efficace al benessere collettivo.

Il primo punto da chiarire è che le regole e le istituzioni che le incorporano sono effettive se sono sostenute da incentivi e aspettative coerenti. Le regole che funzionano hanno questa caratteristica: sono equilibri del gioco della vita. Sono situazioni nelle quali, dopo che ognuno ha fatto la sua scelta e dopo aver osservato le scelte di tutti gli altri, decide che la sua scelta è la migliore possibile. Si chiamano “equilibri” proprio perché in questi casi nessuno ha interesse a cambiare idea, a mettere in discussione il proprio comportamento, dato quello di tutti gli altri. Sono equilibri anche perché le aspettative sul comportamento in questi casi sono sempre corrette.

Le regole che funzionano sono le regole che codificano equilibri del gioco della vita. Sono regole che favoriscono e coordinano gli interessi individuali verso un mutuo vantaggio che, senza regole, sarebbe complicato da ottenere.

Le istituzioni e i comportamenti morali evolvono congiuntamente e, se è vero che buone istituzioni si basano su un ampio tessuto di virtù civili, è altrettanto vero che le stesse istituzioni, quando funzionano in maniera giusta ed efficiente, contribuiscono al rafforzamento e alla diffusione di tali virtù. Analogamente, inefficienze e ingiustizie pubbliche sono frutto, ma anche causa, di piccoli e grandi opportunismi e tendono a generare ingiustizie.

In questo snodo concettuale e in questa irriducibile ambivalenza sta la sfida della moderna progettazione istituzionale.

Come cittadini siamo chiamati al rispetto delle regole imposte dalla società, come medici veterinari iscritti ad un Ordine professionale siamo inoltre chiamati a rispettare le “nostre regole” definite e descritte nel Codice Deontologico.

I principi del Codice Deontologico devono ispirare la nostra condotta, nei confronti dei colleghi, dei cittadini, della società tutta, all’osservanza dei doveri di probità ovvero onestà morale, dignità e decoro nell’esercizio della professione con lealtà e correttezza.

Il Codice Deontologico, configurandosi come una emanazione dell’etica e della morale di una determinata  categoria professionale, assume quindi il ruolo di elemento strutturale della nostra professione che serve a  valorizzarla, con l’osservanza delle norme deontologiche, composte da regole obiettivamente rilevabili dalla coscienza sociale e dall’etica professionale.

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